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I. Padova

Se l’album coi numeri arabi (Rifletto e vi racconto) sarà composto da tracce di riflessione più generale e verso l’esterno, questo album contrassegnato dai numeri romani (Mi specchio e mi racconto) sarà invece più personale, intimo e quindi rivolto verso l’interno.

Iniziamo localizzandoci a Padova, città dove ho iniziato i miei studi universitari. Grande (rispetto al paesino dove sono cresciuto), piena di giovani e opportunità, tutto era nuovo, e io dovevo sì focalizzarmi sull’università ma anche vivere al meglio questo passaggio all’età adulta. Essendo uno studente fuori sede, ho dovuto lasciare casa dei miei e cercare una sistemazione, ma ad essere sincero non vedevo l’ora.

Venivo da anni di repressione in famiglia, se così possiamo chiamarli. Non fraintendetemi, non voglio mancare di rispetto ai miei genitori che ci sono sempre stati per me e mi vogliono un bene dell’anima, dico solo che sono cresciuto in un ambiente piuttosto rigido, con pochi amici, chiusura mentale e sessuale. Avevo già avuto le mie prime esperienze gli ultimi anni di liceo, sfogate poi totalmente durante l’ultima estate, vuoi per lo stress della maturità, vuoi perché avevo finalmente chiuso il capitolo superiori e mi avvicinavo ad una nuova esperienza.

Avevo voglia. Non solo di quello che pensate voi, ma intendo voglia in generale di conoscere, di provare cose nuove, ma soprattutto di ricominciare da capo, sotto una nuova identità. Come vi dirò anche più avanti i nuovi inizi sono una delle cose che più mi dà energia: trasferirmi in una città nuova dove nessuno mi conosceva, farmi dei nuovi amici ed essere me stesso erano per me sensazioni elettrizzanti. Specialmente se hai 19 anni, sei gay cresciuto in una famiglia cattolica, vieni da un paesino e ti trasferisci a Padova, capoluogo gay del nord Italia dopo Milano e Bologna.

Ho iniziato quindi a circondarmi di persone fighe, volevo gli amici giusti con cui frequentare i locali giusti, volevo recuperare tutto quello che non avevo fatto prima. Ma probabilmente non ero così pronto ad essere me stesso come credevo e avrei voluto. Gli amici non sapevano di me, facevano spesso battute omofobe, mi facevano giocare a calcetto anche se ero il più scarso e organizzavano le serate film ignoranti. E io pur di sentirmi incluso non ho mai protestato, sono persino andato alla festa delle matricole dove suonava Benny Benassi, io che non sopporto le discoteche.

E poi chiuso in bagno o nell’intimità della mia stanza tornavo ad essere gay, nei siti hard che visitavo o nella mia ricerca personale di associazioni e circoli per trovare persone come me. Avevo le dating app, ma cercavo qualcosa di più, volevo sentirmi rappresentato, sentirmi parte di un qualcosa di più grande. Volevo farmi un’opinione sui diritti, sull’omogenitorialità, sul Pride e volevo parlarne con qualcuno.

E questa associazione l’ho trovata, anche se era pur sempre un segreto per i miei amici etero, “esco con quelli dell’uni” dicevo. Entrare nella sede del circolo per me è stato difficile, devo dire un grande passo; sono rimasto un bel po’ appostato fuori perché mi mancava il coraggio per entrare. L’edificio era su una strada trafficata, aveva una bandiera arcobaleno piuttosto vistosa e io mi vergognavo. Finché ho visto un ragazzo entrarci e mi sono fatto coraggio, ho varcato la soglia cercando di non pensare alle voci dei passanti che sentivo rimbombare nella mia testa e ce l’ho fatta.

Sono rimasto a Padova per pochi mesi, mi sono poi trasferito per studiare altrove, ma rimarrà sempre una città speciale dove ho lasciato tanti ricordi, dove ho fatto parecchie esperienze, belle e brutte. Ho lasciato lì la mia vergogna e le mie bugie, ho acquistato consapevolezza di me stesso, ho iniziato la mia vita fuori casa. Sono stati mesi che non dimenticherò mai.

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1 commento su “I. Padova”

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